
La ragazza con la valigia

La ragazza con la valigia
Mi piace organizzare le cose, minuto per minuto. Sapere esattamente cosa fare, quando farlo, avere tutto scritto e non perdere tempo. Ora provate a immaginare di viaggiare con me, soprattutto se è un viaggio di lavoro.
Lo scorso weekend sono partita per lavoro, due giorni (più o meno) in Liguria per uno shooting, completamente da sola. Viaggiare da sola -ancora di più quando sei donna ma di questo poi ne parliamo un’altra volta- porta con se un tot di paure, di paranoie, e quindi per evitare di sentirmele sulle spalle tutte queste paure, per evitare di pensare troppo, il viaggio l’ho prenotato all’ultimo. E senza organizzare nulla: treno di andata e ritorno, senza calcolare troppo gli orari e il quantitativo di ore di viaggio, e un Beb che fosse abbastanza vicino al centro, senza controllare gli orari d’apertura o come muovermi all’interno della città. Così, alla cieca.
Partire all’alba è una figata. Perché la metro per arrivare in stazione è vuota, perché ti puoi muovere con la valigia liberamente, perché per prenderti un caffè non devi fare la fila, perché fa freddino e il trench che ti porti dietro puoi indossarlo senza sudare e non tenerlo in mano mentre con l’altra tieni il cellulare e la valigia e un caffè a portar via e le chiavi di casa che ancora non hai messo in borsa e gli occhiali e le cuffie e un cornetto vuoto integrale che al mercato mio padre comprò. Ecco, partire all’alba con solo tre ore di sonno è un po’ meno figo.

Sono arrivata in stazione con mezz’ora d’anticipo, con un cappellino con su scritto “sto nascondendo la faccia prima del primo caffè”. Azzeccato. Ho passato quattro ore di viaggio sparandomi Taylor Swift nelle orecchie, con millemila sveglie impostate perché bello il viaggio improvvisato, ma non scendere alla fermata giusta o non scendere per cambiare treno un po’ meno bello.
Primo grande obiettivo: ho bevuto un caffè senza paranoie. Ed ora mi dirai: se quando bevi il caffè ti vengono le paranoie, ti viene l’ansia, non berlo no? Oppure come mia madre: “perché non lo prendi deca?”. Che assurdità. Comunque, il caffè per un periodo della mia vita è stato annullato dalla mia quotidianità, poi è stato reintrodotto, ma preso solo quando ero sicura al 100% di poter mollare ciò che stavo facendo e tornare a casa, nella mia comfort zone. Perché il caffè può agitarmi, può richiamare i sintomi degli attacchi di panico, ma la psicologa dice che se non affronti ciò che ti fa paura e lo eviti e basta, la paura non passerà mai. E quindi eccomi a La Spezia, tra un cambio di treno e l’altro, con un bel cappuccino in mano. Ho avvertito i sintomi dell’ansia? Sì. Me li son fatti scivolare addosso? Sì.

Ed ora arriviamo alla parte tragicomica. Sarzana sembra uscita da una favola, è un piccolo borgo medievale pieno di colori e con tanto di fortezza. Sembra una Stars Hollow italiana, dove tutti si conoscono e tutti ti salutano, anche se sei “la straniera”. Dove si gira a piedi o in bici, con la macchina se ce l’hai. Nessun pullman, niente metro, e due taxi abbandonati vicino la stazione.
Senza neanche andare verso i taxi, come se non li avessi neanche visti, ho aperto le mappe e ho raggiunto il Beb a piedi: 13 minuti di cammino, perfetto, fattibile.
Un viale pieno di case colorate, come nelle prime scene di “Edward mani di forbice”, foglie cadute ovunque, profumo di pane, un silenzio inaspettato, il sole caldo e una spettacolare quiete. Ho messo su le cuffie e al massimo del volume mi sono sparata la colonna sonora de “Il diavolo veste prada”. Lì, con il mio trolley e il mio caffè a portar via, con i jeans lunghi e il cappellino, mi sono sentita una donna in carriera. Forte, indipendente, da sola in una città che non conoscevo e con questa atmosfera incredibilmente romantica. E mentre camminavo per sbaglio m’è caduta una cuffia, e ho visto che una delle rotelle della valigia era difettosa, che camminando stavo facendo un rumore insopportabile perché la stavo trascinando sui ciottoli della strada, e che la gente si girava per la mia camminata spensierata e il mio sorriso da ebete mentre facevo tutto quel casino. Perfetto.

Ma stavo per arrivare al Beb, avrei mollato quel trolley del peso di un bambino pasciuto di sette anni e sarei andata in giro solo con una borsa, giusto? Sbagliato. Sono arrivata alle dieci del mattino, e il Beb -che poi si è scoperto essere un’affittacamere- apriva alle 16.
Secondo grande obiettivo: non sono crollata mentre crollavano tutti i miei programmi della giornata. Mi sono guardata nel riflesso del portone, ho fatto un enorme sospiro mentre cercavo di non fare il conto delle ore che mi separavano alle 16, e sono tornata indietro. Io, la mia super borsa, e il mio bambino pasciuto di sette anni. Tornare indietro verso la stazione, di nuovo 13 minuti di camminata, più altri 13 per raggiungere il centro. Perfetto, fattibile.
Sarzana è un gioiello. Se si vuole scappare, spegnere il telefono, spegnere il cervello per qualche giorno, questa città è il posto giusto. Sono andata nella pasticceria di un’amica, una persona speciale che mi ha presentato il marito, la ragazza che lavorava al bar, tutte le signore che ci fermavano e ci salutavano, e tutti i signori che passeggiavano con i cani che ci scodinzolavano attorno. Ecco, Sarzana è a metà tra Stars Hollow e Fairy Oak. Il giorno dopo due signore mi hanno fermato per dirmi semplicemente “buongiorno” e “tu sei la ragazza con la valigia”, neanche 24 ore in città ed ero già la ragazza con la valigia (e aggiungerei un bel “eh per forza”, con tutto il casino che ho fatto, prima arrivava il rumore della valigia e poi io)
Comunque, dopo aver passato un’oretta con Valentina, sono rimasta sola. E ho continuato a girare, a perdermi, a mollare il telefono perché tanto non prendeva, a posizionare bene la borsa sul trolley per incastrare il telefono e fare qualche foto. Perché non abbiamo bisogno di nessuno anche per scattare delle foto in lontananza, o per fare qualche video carino.
All’una e mezza mi sono seduta in un locale, da sola. Anzi, accompagnata da un libro della Ferrante, miglior compagnia. Ho mangiato una focaccia assurda, ma soprattutto sono rimasta lì. Non so perché sia così stigmatizzata l’idea di mangiare in solitudine, l’idea di sedersi in un locale senza nessuno. Un tavolo per uno, perfavore. Sì, per una. Ed anche qui, nonostante l’ansia che per quaranta minuti mi si è posata sulla spalla perché alla fine un po’ le mancavo, ho avuto il mio momento da main character da Comedy americana. Da sola, col mio pranzo, il mio libro, con attorno tutta quella gente.
Romantico. Ecco, l’aggettivo perfetto per il weekend a Sarzana è “romantico”.

Ma passiamo al lato comico. Alle tre del pomeriggio ero piena. Avevo bisogno di una doccia, di cambiarmi, di mollare quel bambino di sette anni che mi ha fatto venire i calli alle dita, e soprattutto volevo chiudere gli occhi per più di cinque minuti prima di iniziare lo shooting. Ho chiamato il Beb, che magari qualcuno era arrivato nel frattempo, e quando alla decima chiamata qualcuno ha risposto mi sono sentita un’emerita cretina. La prima domanda che mi hanno fatto è stata: “ma lei non l’ha letta l’email che le abbiamo inviato?”. Effettivamente erano un paio di giorni che mi arrivavano email da Booking, da parte del Beb, chiedendo di finire la registrazione per le ultime info. Ma la mia testa ha proprio detto: “nah, quando sarò lì completerò la registrazione”. Peccato che nel completamento della registrazione, il sito dava il codice per entrare nel palazzo spiegando che le chiavi le avrei trovate all’ingresso. Perfetto.
Dello shooting con Sara, ma soprattutto di Sara, vorrei parlarvene in separata sede. Quando usciranno le prime foto. Ma giusto per capire l’andazzo delle tre ore e mezza di lavoro vi racconto questo: abbiamo scattato al mare, con me e le mie tettine al vento tra i pescatori e i gruppi piemontesi in gita. Abbiamo scattato in acqua, in acqua con una sedia. La prima proposta folle che ho fatto a Sara è stata: “ci scambiamo i vestiti?” Solo perché mi piacevano i suoi pantaloni, e lei non ha battuto ciglio. Ci siamo scambiate i vestiti. La seconda proposta folle è stata: “ma se facessimo anche foto in acqua?”.
Ad Ottobre.
Alle otto di sera.
Senza asciugamani.
Alle otto, con addosso un paio di calze e una giacca nera, ci siamo infilate in acqua. Io nuda, bagnando completamente le mutande, e Sara con tutti gli scarponcini. Insomma, poi questa esperienza ve la racconto meglio.

Ma la parte migliore arriva ora.
Sara mi ha portata a casa sua, per farmi struccare, e poi mi ha riaccompagnata al mio Beb. Ed io con la valigia, senza mutande, con la sabbia nei calzini, ho camminato fino al supermercato per comprare uno shampoo, e poi ho camminato fino al mc per comprare la cena, e con la busta del Mc appoggiata sulla valigia, con la borsa sulla spalla e la sabbia ancora nei calzini, sono andata nella mia camera. Da sola.
E ho sistemato i vestiti dello shooting all’interno della valigia, cercando di levare il più possibile la sabbia, chiudendo i vestiti bagnati in dei sacchetti. E ho cenato guardando Friends, su una scrivania e con le coperte addosso. E ho lavato i capelli alle undici, asciugando 15 metri di capelli con uno di quei asciugacapelli da albergo, impiegandoci quasi un’ora e mezza, e infine ho studiato un po’ prima di crollare per il sonno. E sono crollata, soddisfatta.

Terzo grande obiettivo: sono andata a dormire senza pensare mai, nemmeno una volta, chi sarebbe venuto in viaggio con me se le cose fossero andate diversamente.
Ecco, io gli argomenti “amorosi” cerco di evitarli sempre, parlo di tutto, di tutte le mie paure o le paranoie, ma l’amore implica anche altre persone, quindi ho sempre evitato di trattarlo. Però questa volta è importante. Perché riuscire a viaggiare da sola per me è sempre stato un grande obiettivo, un grande sogno, la voglia di sentirmi indipendente. Ma dei tre viaggetti che ho fatto negli ultimi mesi, delle due volte in cui mi sono ritrovata da sola in un Beb o in una stanza di qualche amica, ho sempre pensato: “chissà come sarebbe andata se”. Chissà in quale stanza avrei dormito se avessi prenotato per due e non per una. Chissà dove avrei mangiato, o cosa avrei fatto, cosa avrei visto, che ricordi avrei se non fossi stata in una. Se per quel tavolo avessi detto: “un tavolo per due, perfavore”.
Ecco, Sarzana è stata e sarà ormai per sempre un nuovo punto di partenza.
Perché mi sono addormentata in quel letto matrimoniale enorme, in quella città sconosciuta, da sola. E l’ho riempito tutto.
Quindi, se anche voi state cercando un punto da cui ripartire, una bella svolta, o un po’ di respiro in mezzo alle vostre giornate, il treno per Sarzana non costa così tanto.
Al prossimo racconto, spero di avervi tenuto compagnia
Adelio